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Donald Trump ha superato la linea rossa, quella che il suo predecessore, Barack Obama, non aveva osato oltrepassare: ha bombardato la Siria. Lo ha fatto pochi giorni dopo aver sostenuto che la sua amministrazione non avrebbe chiesto un passo indietro ad Assad.  Il pretesto, noto, è il presunto attacco chimico che l’aviazione siriana avrebbe sferrato in un villaggio nella provincia di Idlib, ultima grande sacca di resistenza jihadista nel paese, totalmente in mano ai gruppi ribelli e ai gruppi guidati da al Qaeda.

La Casa Bianca sostiene di avere le prove che quell’attacco con armi convenzionali sia stato effettuato da Damasco – prove che non sono state mostrate in pubblico e che richiamano alla memoria le finte armi di distruzione di massa utilizzate in Iraq da Saddam Hussein –  e per questa ragione hanno lanciato, da due navi americane di stanza nel Mediterraneo, 59 missili Tomahawk verso la base aerea siriana di Shayrat da cui si presume sia partito l’attacco chimico nella provincia di Idlib.

L’azione di guerra statunitense avrebbe provocato, stando a fonti siriane, 5 morti (3 militari e 2 civili) e 7 feriti. Sarebbero inoltre stati distrutti un numero imprecisato di caccia e hangar, mentre la pista non sarebbe stata danneggiata. Altre fonti, americane, affermano che la base sia stata completamente distrutta. Se da quella base sono partiti effettivamente gli aerei con le bombe caricate con sostanze chimiche (cloro o addirittura gas Sarin), non si capisce che fine abbiano fatto queste sostanze che, presumibilmente, almeno nella logica del Pentagono, erano stipate in quell’area. Nessuno ne ha parlato. Il che induce a credere che non ci fossero armi chimiche in quella base militare.

Non tutti sanno che da quella base, nel deserto, partono gli aerei che la Siria utilizza per combattere lo Stato Islamico nella parte orientale del paese. La distruzione di quella base è un enorme favore che Trump ha concesso ai terroristi dello Stato Islamico che, giustamente, hanno esultato per questa mossa azzardata dell’odiato nemico americano.

L’aggressione militare ordinata dal presidente americano ha l’effetto immediato di aiutare sul piano militare quei gruppi armati che la stessa amministrazione considera terroristi. E est del paese, con questo attacco, lo Stato Islamico può, nel giro di poche settimane, riconquistare il terreno perduto a seguito della massiccia compagna militare russo-siriana degli ultimi anni. Il disastro compiuto da Trump con questa azione vanifica gli sforzi per sconfiggere il terrorismo sul piano globale. E non è un caso che nelle ultime ore gli uomini del sedicente Califfato abbiano lanciato una nuova offensiva sulla città di Palmira, già martoriata dai terroristi.

Appare evidente, a questo punto, come l’attacco missilistico sia stato preparato nei minimi dettagli ben prima del presunto uso delle armi chimiche a Idlib, di cui, peraltro, si parlava ben prima che si verificasse. E’ evidente la regia comune di questa operazione: gruppi ribelli, servizi occidentali, Pentagono e Casa Bianca. Una regia che i media hanno sostenuto fino a provocare un’azione le cui conseguenze oggi sono imprevedibili.

Da tutta questa vicenda l’unico a non trarre alcun vantaggio, come dimostrano i fatti, è il presidente siriano e la popolazione siriana. Si può anche pensare che Assad sia un criminale ma non è certamente uno sprovveduto. E’ difficile pensare che abbia potuto commettere un errore così grossolano, inspiegabile dal punto della strategia sia politica che militare. Ecco perché la tesi della Casa Bianca è debole e poco convincente. Se però Assad avesse davvero commesso questo imperdonabile errore, è giusto che paghi le conseguenze di questa decisione e si assuma le responsabilità presenti e future di questa decisione.

 

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