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La prima Commissione è stata investita di un ruolo importante, quello di esplorare le cause e analizzare le possibili soluzioni attorno a quello che è ormai considerato il principale problema della Sardegna: il progressivo spopolamento dell'Isola e il destino problematico delle zone interne. Sono stati a questo proposito presentati due disegni di legge ed è attesa la presentazione, già annunciata, di un altro testo sullo stesso argomento. Segno di grande attenzione sul tema da parte delle forze politiche. Vi scrivo con grande preoccupazione. 
 
Chi governa oggi ha il compito di affrontare, parallelamente ai tanti problemi del quotidiano, quelli ancora più grandi che ci attendono domani: i dati demografici descrivono una Sardegna del futuro spopolata, con decine di paesi fantasma abbandonati o in via di abbandono. Con un età media della popolazione molto alta. Nel 2050, stando alle previsioni mediane, quindi nemmeno alle più pessimistiche, la nostra Isola avrà 250mila abitanti in meno rispetto a oggi, oltre cento paesi saranno abbandonati o in via di abbandono e più del 40% dei sardi avrà più di 65 anni. Una Sardegna che avrebbe quindi, stando alle stime dei demografi, la sua principale fonte di reddito nelle pensioni dei suoi abitanti più anziani e il suo principale problema nel cercare di garantire il controllo del territorio nelle sue ampie porzioni abbandonate. 
 
Da cagliaritano, credo che il futuro della Sardegna necessiti di un ragionamento complessivo e sistemico. Non per parti e non per caso. La Società sarda è una comunità di destino e come tale non può avere nel conflitto tra le parti dell’isola, nella competizione interna alla comunità della nostra regione una soluzione, anche parziale o di breve periodo. Lo sviluppo o è di tutta l'Isola o non è. O si trova una direzione e una prospettiva comune oppure difficilmente nel lungo periodo potrà esserci sviluppo per una parte. Sarebbe come pensare che una parte di una nave possa restare a galla ad assistere, e magari a trarre beneficio, dall’affondamento del resto della nave. Ma comune non vuole dire uguale, perché non c’è cosa più ingiusta del fare parti uguali tra disuguali e più inutile, costosa e dannosa che utilizzare gli stessi strumenti per situazioni di partenza diverse. L’errore che credo sia importante evitare è pensare di considerare che politiche già viste e già sperimentate in passato possano oggi funzionare, senza alcun correttivo. Per questo motivo il tema proposto alla commissione necessita di un approfondimento e di un ampio coinvolgimento.