La Tunisia continua a essere uno dei più importati serbatoi di combattenti stranieri nella guerra in Siria. Sono infatti 1.591 in tutto i procedimenti penali aperti nel paese magrebino nei confronti dei foreign fighter impegnati nei territori di combattimento del jihad. Lo ha affermato il ministro della Giustizia tunisino, Ghazi Jeribi, durante un’audizione alla Commissione parlamentare Difesa e Sicurezza del parlamento, precisando che finora sono 77 le persone arrestate, delle quali 31 condannate. Tutti gli altri sono ancora ricercati dalle autorità.
“Molti tunisini rientrati dalle zone di conflitto sono stati arrestati e portati davanti ai giudici. Quando una persona è sospettata, operiamo nel rispetto della Costituzione che garantisce il beneficio del dubbio a tutti i cittadini”, ha dichiarato Jeribi. “Oggi abbiamo 1.591 processi per terrorismo in corso, 77 persone arrestate e 31 condannate. Gli altri non potranno sfuggirci”, ha detto Jeribi ammettendo tuttavia l’esistenza di qualche problema nel funzionamento del sistema di scambio di informazioni con i paesi dove sono attualmente in corso conflitti, in particolare Libia e Siria. “Speriamo di poterli risolvere al più presto”, ha precisato il ministro della giustizia di Tunisi.
Secondo le ricerche condotte dal National Bureau of Economic Research (Nber), ente privato con sede in Massachusetts, la Tunisia è il Paese da dove sono giunti più miliziani negli ultimi anni. La nazione africana, che ha dato origini alle cosiddette primavere arabe, ha esportato un numero pari a circa settemila jihadisti, che sono andati a ingrossare le fila del Daesh nella loro guerra contro il governo di Damasco. Dopo la Tunisia, i Paesi più coinvolti nell’esportazione di jihadisti sono l’Arabia Saudita, la Russia, la Turchia e la Giordania.
La presenza di combattenti stranieri tra i gruppi armati radicali che si oppongono al governo di Damasco è un elemento che ha caratterizzato in questi anni la guerra in Siria. E’ difficile fare delle stime: alcune fonti hanno parlato di una presenza di miliziani non siriani tra le fila del Fronte al-Nusra (al-Qāʿida) e lo Stato Islamico (Daesh) di circa il 20% del totale. Altri studi mettono in evidenza come queste stime siano in difetto, soprattutto per quanto riguarda lo Stato Islamico che accoglierebbe un numero di foreign fighter ben maggiore, circa il 40% di non siriani tra gli effettivi. Senza considerare le altre formazioni islamiste e l’Esercito Siriano Libero.
Sul piano militare si registra un indebolimento delle formazioni jihadiste, a partire dallo Stato Islamico, oramai sotto assedio nelle sue due capitali, a Raqqah in Siria e a Mosul in Iraq. Un indebolimento che spiegherebbe, come ha scritto il Guardian citando fonti bene informate, il “fuggi fuggi” fra i foreign fighter, soprattutto cittadini di Paesi occidentali, unitisi a suo tempo alle file dello Stato Islamico.
“A decine – scrive il quotidiano britannico – stanno abbandonando l’Iraq e la Siria, dove i jihadisti appaiono sempre più in difficoltà, e cercano di passare il confine con la Turchia”. Una situazione che desta molta preoccupazione tra i servizi di intelligence europei per le ovvie ricadute che questa nuova ondata di ritorno di combattenti stranieri può avere sulla sicurezza nei vari paesi del vecchio continente.
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