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Saranno sentiti domani mattina dal giudice delle indagini preliminari Giampaolo Casula, il responsabile del servizio mensa, cucine e logistica della Caritas di Cagliari, Andrea Nicolotti, Giampiero Cesarini e la moglie Rosa Contiello, originari della Campania e titolari della convenzione con la Caritas, tutti attualmente sottoposti all'obbligo di dimora rispettivamente a Quartu e Capoterra nell'ambito dello scandalo sui vestiti usati raccolti per l'associazione diocesana e destinati ai poveri ma poi venduti nei mercati italiani e esteri.
I tre si presenteranno al palazzo di giustizia tra le 9 e le 10 accompagnati dall'avvocato Marco Scano, che tutela Nicolotti, e dal professor Luigi Concas, difensore della coppia. I tre dovranno rispondere delle accuse che gli vengono mosse dal pm Guido Pani che ha iscritto il loro nome nel registro per truffa in concorso e traffico di rifiuti. Con loro sono indagati anche Guido Afflitto, della società Sarda Recupero tessili che opera nella raccolta degli indumenti, e Tonino Marras, capo cantiere della Derichebourg, la cui posizione potrebbe essere presto archiviata.
Da quanto si è appreso, Nicolotti già prima della misura cautelare si era sospeso da tutti gli incarichi all'interno della Caritas. L'obbligo di dimora per i tre è scattato martedì.
Secondo il Gip ci sarebbe stato pericolo di inquinamento delle prove e reiterazione del reato. Nell'ordinanza il giudice spiega che "nemmeno il sequestro del Tir contenente indumenti nuovi e usati diretti a Casoria ha fatto desistere gli indagati nelle azioni illegali intraprese, sulla frenetica attività di consultazione e sugli incontri tra i vari soggetti coinvolti nella vicenda".
"Cesarini nonostante gli ultimi avvenimenti – si legge ancora nel provvedimento che motiva la reiterazione del reato – ritiene di dover procedere ulteriormente nella illegale condotta a lui contestata procedendo alla collocazione dei rimanenti cassonetti per la raccolta degli indumenti usati in diversi Comuni della Sardegna anche se ormai solo con la scritta Eurofrip (l'azienda a cui era destinato il carico sequestrato, ndr) nonostante la mancanza in Sardegna di un sito di stoccaggio".