Il Coordinamento pro su Sardu Ufitziale (Csu) scrive al Vaticano per sollecitare l'approvazione alla messa ufficiale in sardo. Nei giorni scorsi il Csu, comitato che unisce militanti e operatori che sostengono la causa del bilinguismo in Sardegna, ha scritto una lettera alla Congregazione del Culto Divino e la disciplina dei Sacramenti della Santa Sede.
In primo luogo – è spiegato nella comunicazione – si sottolinea il grande ritardo con il quale si procede nell'Isola per la traduzione del messale e del canone (a 17 anni dal riconoscimento della lingua sarda con la legge 482/99 da parte dello Stato italiano) che permetterebbe lo svolgimento della messa in sardo. In secondo luogo, viene ribadito che le traduzioni non possono essere fatte nei dialetti della lingua sarda (siano essi campidanese, logudorese o altri a seconda dei campanili) come sostengono alcuni vescovi e traduttori, ma nel sardo scritto comune che poi ogni sacerdote provvederà semmai a declinare oralmente nelle singole parrocchie e celebrazioni.
A questo proposito l'istruzione vaticana "Liturgiam Authenticam" del 2001, che regola questa materia, è stata tradotta dagli operatori del Comitato a scopo dimostrativo e inviata alla Congregazione insieme alla lettera. E proprio nel testo della legge vaticana il Csu trova conforto per le sue argomentazioni laddove si dice che bisogna evitare la frammentazione delle lingue e che i dialetti interni non possono esprimere la liturgia. Il Csu ricorda inoltre che la Regione nel 2006 ha varato una delibera per una Limba Sarda Comuna che è il testo esemplare per gli atti ufficiali scritti della massima istituzione autonomistica. Sarebbe gravissimo – avverte il coordinamento – che dopo che lo Stato italiano ha riconosciuto la lingua sarda nella sua unicità, la Chiesa riproponesse luoghi comuni autocolonizzanti che legittimino la divisione della lingua sarda in dialetti.






