Altre Regioni l'hanno fatto e da oggi, con l'introduzione nella legge di semplificazione di un emendamento sulla revisione del linguaggio di genere, anche la Sardegna dovrà rispettare delle regole. Almeno nella comunicazione istituzionale. Perché è così importante? "Il fatto di identificare la professione o il ruolo di una donna utilizzando il termine al maschile è un mancato riconoscimento, una forma sottile di discriminazione", spiega all'ANSA la consigliera regionale del Centro democratico e autrice dell'emendamento passato in Aula, Anna Maria Busia.
"Le parole sono importanti, definiscono e sono evocative delle cose e delle persone. Non per niente il diritto ad essere riconosciuti per quello che è il proprio nome è un diritto costituzionale". L'emendamento è stato subito accolto: "Non è stato nemmeno discusso, non ce n'è stato bisogno", sottolinea la consigliera. In concreto accadrà che "il linguaggio amministrativo delle leggi, dei moduli, dei bandi dovrà essere adeguato e ci si dovrà sempre rivolgere alle donne e agli uomini".
La riflessione, ricorda Busia, "è diventata 'importante' quando a porre il problema è stata prima la presidente della Camera, Laura Boldrini, poi la stessa Accademia della Crusca. La stampa ha recepito con grande facilità le nuove indicazioni, tanto che nessuno si sognerebbe mai, adesso, di parlare di sindaco Raggi". E a chi contesta il fatto che i vari "prefetta", "avvocata", "consigliera" suonino male, risponde: "Perché avvocata è brutto e maestra e impiegata no? La verità è che il nome del mestiere declinato al femminile diventa cacofonico nella misura in cui si avanza di livello nella scala professionale".







