Lavoratori edili in piazza a Cagliari per il rinnovo del contratto nazionale. Ma anche per chiedere lo sblocco di opere pubbliche nell’Isola, soprattutto stradali, e il rilancio del settore. Alla partenza del corteo – in contemporanea con Bari, Torino, Napoli, Palermo e Roma – c’erano circa duemila persone con striscioni, bandiere e fischietto. Da viale Trento i manifestanti hanno attraversato viale Trieste e via Roma per poi confluire davanti al porto per i comizi finali.

Lo sciopero è stato indetto da Feneal Uil, Filca Cisl e Fillea Cgil. Secondo i sindacati, in Sardegna sono 68 le opere avviate, alcune da ben 40 anni, ma ancora da terminare. E sul versante Anas, rispetto ai circa tre miliardi di portafoglio, “600 milioni riguardano lavori in esecuzione, 300 milioni sono ancora da appaltare entro il 31 dicembre e i restanti 2,1 miliardi da mandare a regime nel prossimo triennio”, spiegano le sigle. C’è poi il problema del lavoro nero. “Almeno il 25% degli edili è fuori legge, oltre due lavoratori ogni 10”, segnala il sindacato. “La Sardegna è storicamente una regione importante per le costruzioni – spiega il segretario nazionale Fillea Cgil, Antonio Di Franco – e deve continuare a esserlo. È finito il tempo dell’edificazione selvaggia, ma c’è tanto da fare: nel recupero delle vecchie opere, nelle periferie, nelle infrastrutture”.

Eppure si lavora poco. E da precari. “Oggi -sottolinea il segretario Filca Cisl, Giovanni Matta – abbiamo 23 mila lavoratori con 887 ore di media occupate nei cantieri, che significa poco meno di sei mesi di lavoro in un anno per ciascun operaio. Siamo a una retribuzione media annuale di 10mila euro. Noi puntiamo a 6mila in più. Perché la differenza per molti è proprio il pane”. Un settore in crisi. “Siamo passati da 60mila addetti – ricorda Gianni Olla della Uil – Al centro di tutte le politiche ci deve essere il lavoro. Un impegno che deve coinvolgere le associazioni datoriali e le istituzioni”.