In coda a questa riflessione potrete leggere un ottimo pezzo – tratto dalinkiesta.it – del giornalista Fulvio Scaglione sulle cause endogene delle attuali tensioni in Iran.
Pur ritenendo quanto scritto da Scaglione (come sempre molto preparato ed informato) perfettamente aderente alla realtà iraniana, la sua esposizione merita a nostro avviso alcune precisazioni sotto un particolare punto di vista, ossia l’importanza relativamente scarsa che attribuisce agli elementi esogeni che influiscono sulla crisi iraniana (che pure egli stesso ammette come realistici).
Colpisce dalle notizie che arrivano dall’Iran un aspetto particolare, che fa suonare un campanello d’allarme a un osservatore attento. I primi morti durante i torbidi degli ultimi giorni sarebbero stati causati da non meglio identificati soggetti che hanno sparato sui manifestanti. Immediatamente sul web e sulle agenzie si sono rincorse voci contrapposte: da un lato si parlava dei famigerati basiji (milizie civili emanazione diretta del potere teocratico) dall’altro di “agenti stranieri” così come identificati dalle autorità.
L’infiltrazione di provocatori che sparano sulla folla al fine di far ricadere sulle autorità la responsabilità dei morti così da radicalizzare e fomentare ulteriormente le proteste è un modus operandi ben oliatoche abbiamo visto ripetersi in tutte le situazioni analoghe degli ultimi anni. Dal colpo di stato di Kiev ai ripetuti scontri a Caracas dagli anni duemila fino ai più recenti, senza dover risalire alla crisi dei paesi baltici del 1990.
Sotto questo aspetto fu da manuale quanto avvenuto in Siria fin dall’apparire delle manifestazioni del 2011. Da subito, accanto aimanifestanti pacifici che chiedevano riforme, si sono mossi in maniera particolarmente coordinata piccoli gruppi di guerriglieri che da un lato sparavano sui manifestanti e dall’altro compivano attentanti uccidendo in imboscate poliziotti o soldati. Ben presto, mentre le manifestazioni “autentiche” andavano a scemare, i gruppi più radicali prendevano la guida di quella che assumeva i contorni di una autentica rivolta armata.
A Damasco la faglia che andava a rompersi nella società siriana era quella del jihadismo islamico che aveva vissuto sotto traccia negli ultimi decenni (dopo essere stato annientato senza pietà da Afez Assad negli anni ’80) e che a ridosso del 2011 aveva ripreso respiro sfruttando gli errori del governo che aveva consentito il passaggio in Siria dei guerriglieri jihadisti, soprattutto libici, verso l’Iraq e la possibilità di insediarsi nelle città di confine (tra cui Derha) da cui poi prese avvio la rivolta.
Oggi, in Iran, le faglie che possono rompersi per destabilizzare la Repubblica islamica sono molteplici, di carattere etnico-religioso e politico, oltre che sociale come illustrato da Scaglione. Nel Kurdistan iraniano, nel Belucistan, tra gli arabi del Khuzestan, nel revanscismo azero, nelle attività mai scomparse del MKO (Mujahedin del Popolo) considerato in Iran, non senza ragioni, una organizzazione terroristica manovrata dall’estero, si muovono entità che possono sfruttare i moti popolari per pilotarli verso gli obiettivi messi in agenda da potenze straniere come Stati Uniti, Israele, Arabia Saudita.
Se i focolai non vengono spenti al più presto, l’incendio che può divampare rischia di diventare incontrollabile.
Per noi europei è fondamentale capire gli eventi senza farci incasellare ancora una volta nella bolla mediatica occidentale, che ci fuorvia sempre con la sua spasmodica ricerca di immagini simbolo e di schemini iper-semplificati come quello “libertà/dittatura”, da condire con qualche giovane personaggio che riassuma ciò che non si può riassumere.
Manco a dirlo, anche l’immagine della ragazza che rifiutava il velo non c’entrava nulla con le manifestazioni in corso a Teheran e in altre città.
Perciò, pur con le avvertenze di cui sopra, l’articolo di Scaglione è un buon invito a cogliere la complessità delle vicende iraniane.
Fonte: megachip.globalist.it







