Sono stato a Barcellona i giorni del referendum per l’indipendenza della Catalogna.
Ho toccato con mano la dignità e la fermezza di un popolo che vuole conquistare il suo diritto a decidere. Ho visto giovani e anziani, lavoratori e disoccupati, professori universitari e catalani d’adozione stringersi in un sol corpo e darsi forza a vicenda.
Ho visto anziane signore in carrozzina con le lacrime agli occhi perché finalmente avevano avuto la possibilità di votare per l’indipendenza del loro paese.

Ho visto padri e madri difendere i loro figli che facevano i cordoni per impedire che la polizia sequestrasse i seggi e ho visto migliaia di persone cantare unite “votarem”.
Ma soprattutto ho visto quello che fino ad allora avevo solo letto nei libri di storia: una democrazia reale, partecipata, controllata dal basso, dove il governo politico mantiene solo una funzione di coordinamento, perché la volontà popolare soffia dal basso e riempie di colore e calore le strade, le scuole, le affollate assemblee, le colazioni fatte alle 4 del mattino in occasione dei picchetti per difendere i seggi.

Il presidente Puidgemint costretto all’esilio e ora vigliaccamente arrestato dalla polizia tedesca, Jordi Turull che sarebbe dovuto essere eletto presidente del governo catalano ma è stato arrestato, tutti gli altri ministri o segretari dei movimenti indipendentisti che sono stati arrestati o costretti all’esilio, i dirigenti dei movimenti culturali e civici arrestati per ribellione non sono altro che la manifestazione più visibile della straordinaria voglia di libertà del popolo catalano.

Accusare di ribellione loro vuol dire accusare di ribellione il popolo catalano e tutti coloro i quali si battono per la democrazia e la libertà in Europa e nel mondo.

Ebbene: ribellione sia, perché al fascismo, alla dittatura, al colonialismo, all’arroganza, alla politica gestita dai tribunali e dai poliziotti, ci si deve ribellare o si muore.

Il mio cuore, la mia mente, le mie parole, la mia vita è ora in Catalunya al fianco di tutte quelle straordinarie persone che ho conosciuto nei giorni del referendum. So che stanno soffrendo ma so che non si arrenderanno e che porteranno avanti la battaglia per la Repubblica di Catalunya, primo vero stato democratico in Europa.