Cosa vuol fare la proprietà del Cagliari? E’ questa, in sostanza, la domanda da porsi. Dopo l’opaca prestazione di domenica mattina, complice anche un arbitraggio insufficiente, è scattata la giusta contestazione dei tifosi nei confronti del presidente. A quest’uomo venuto dal nord probabilmente poco importa se una manciata di sardi si svegliano all’alba e si sorbiscono 150 km per arrivare a Cagliari per sostenere la squadra, non è gente che viene allo stadio per “vedere l’Inter, la Roma o la Juventus”, è gente che viene a tifare il Cagliari. E così gli ultras, persone che urlano disperatamente e senza sosta per 90 minuti “Forza Cagliari”.

Noi il Cagliari ce l’abbiamo nel sangue. Questo sia chiaro. Però anche quei tifosi perdono le staffe di fronte ad uno spettacolo indegno per la città e per la Sardegna e manifestano la loro rabbia e il loro dissenso nei confronti di una proprietà che privilegia il business, il marketing, il profitto sulle spalle di chi, quei colori, ce li ha nel sangue. Poi ci sono gli emigrati. Sardi che sono dovuti scappare da questa terra, dura, aspra, ma che sa essere generosa, e che trovano nel Cagliari la consolazione per la loro lontananza da casa, dai loro affetti, vedono in quella maglia la loro identità, la nostra identità, vanno a sostenere la squadra negli stadi di tutta Italia: vorrebbero sentirsi orgogliosi, ma anche loro, dopo Verona e Milano, hanno esaurito la pazienza.

Inutile, a nostro avviso, prendersela con Diego Lopez: con questi giocatori sarebbe interessante vedere cosa farebbe Allegri, Pep Guardiola, Mourinho, Conte, Ancelotti. E allora cosa manca, a parte quel pizzico di grinta e determinazione? Manca una rosa di giocatori da Serie A. Lo abbiamo detto all’inizio del campionato, ben otto mesi fa, all’esordio al Sardegna Arena, che ci sarebbe stato da soffrire, ma così indegnamente no, così proprio no! In tanti ci hanno criticato, lo faranno ancora,ma in tantissimi ci avevano apprezzato. E purtroppo avevamo ragione.

I fatti ci hanno dato ragione, purtroppo! Giulini aveva l’occasione di rinforzare la squadra a gennaio e non l’ha fatto, e allora è lecito continuare a domandarsi cosa ne vuol fare del Cagliari. Lo dica apertamente, faccia capire ai sardi, a quella terra, a quel popolo (e agli emigrati, sia chiaro), che vuole dargli una squadra. Lanci un segnale. Non si vive solo di slogan e di promesse (vedi stadio, ‘lo faremo entro il 2020’) senza rispettare la tifoseria, un’intera terra, già martoriata e ferita, sofferente, e un intero popolo. No est’a du scriri in su stadiu “Un popolo, una Terra, una Squadra, Forza Casteddu”. E no presidente, qui esiste s’aggiudu torrau, ma la Sardegna ha già dato. Tanto.

E ora pretende. Chi compra il Cagliari sa che siamo tifosi esigenti, educati, tranquilli, pazienti. Ma c’è un detto sardo, presidente, che avverte: “Sa marghedda andat a funtana finas a candu non si segat”. Ecco, questa marighedda sta andando alla fonte, ma sta per rompersi. E per ora non vogliamo ancora credere a certe analisi, pubblicate da autorevoli testate finanziarie, che ipotizzano un Cagliari già in serie B per puro business (pochi tifosi, diritti tv, premi retrocessione e due o tre incassi importanti, vedi Barella, Cragno e Han). Non ci vogliamo ancora credere presidente a queste voci. Vogliamo credere ancora nella salvezza e nella Serie A che merita la città e la Sardegna intera.

Certo, il presidente (per fortuna!) non scende in campo e a questo punto c’è solo da sperare in una disperata ma seria prova d’orgoglio dei giocatori e del mister. Ora serve solo una reazione forte che ha come unico traguardo la salvezza, ma poi c’è da mettere le mani al portafoglio, questo sia chiaro. Non si può pretendere di ottenere il massimo profitto con il minino sforzo, che in questo caso si sta rivelando insufficiente. La raccomandata per via Mameli è partita domenica dalla Curva Nord.

 

Articolo del 10 settembre 2017

Cagliari calcio: tornano i cori e i colori della Nord, ma in campo c’è sempre più buio