Letteralmente una vergogna. Un insulto alla maglia, a Cagliari, agli emigrati e ai tifosi. Una banda di gente senza nerbo a correre inseguendo farfalle, alcuni mercenari con le valige pronte e una proprietà da silurare al più presto. Inutile andare ad analizzare la partita nei numeri, quelli che contano sono quei due segnati sul tabellino dell’arbitro: 4-1. Un’umiliazione pesante, che lascia il segno, con l’Udinese e il Crotone che si sganciano pareggiando a Benevento e vincendo un casa con il Sassuolo, e dando una lezione di orgoglio a questi smidollati senza cuore. Oramai siamo al capolinea, la squadra, la rosa va rifondata ma la responsabilità è della proprietà. Lo abbiamo detto il 10 settembre, e in molti ci avevano dato pesantemente addosso, lo abbiamo ribadito la settimana scorsa, perché era talmente evidente che pure un cieco ci avrebbe azzeccato.
Anche a te, Diego Lopez, ti abbiamo difeso abbastanza, spesso andando controcorrente (perché siamo abituati a sostenere le nostre idee con coerenza) ma ora è evidente che non sei riuscito a motivare la squadra, né col gioco e tantomeno con il carattere. E questa è la cosa più grave. Meglio di Rastelli certo, ma non era difficile, e peraltro è una magra consolazione.
Oggi la domanda è: sapete cosa significa rispetto per un popolo? Evidentemente no, non lo sapete. Cagliari è tollerante, accogliente, bella, soleggiata, ma odia essere presa in giro, sia dalla proprietà che dai giocatori. E’ vero, questa non è una rosa da Serie A, lo sappiamo tutti, ma guardiamo gli altri: Crotone, Sassuolo, Spal, Bologna, Chievo. Hanno saputo sopperire alle carenze tecniche e di organico gettando il cuore oltre l’ostacolo e lottando fino alla fine, all’ultimo sangue, con il coltello fra i denti. Voi no, voi ci avete umiliati, ci avete mancato di rispetto, avete pensato che i cagliaritani si accontentano di un autografo, non vi abbiamo rotto le scatole come in altre piazze, lasciandovi vivere tranquillamente e serenamente la vostra vita con le vostre famiglie. E questo è il ringraziamento. Vestire la maglia del Cagliari è portare rispetto per chi è andato via da questa terra a lavorare, voi qui siete venuti a giocare a pallone, non a lavorare in miniera, o a marrare patata. Ripeto: a giocare.
‘Procuade ‘e moderare, giocadores’, ‘Procurade ‘e moderare, su conte’, (non barones, non è un errore!). Oggi siamo stanchi, avete superato il limite, il limite del rispetto per i cagliaritani, di quei tifosi che vi hanno seguito fino a Genova anche oggi (e che si sentivano persino in tv), degli emigrati che sono andati ad incitarvi per tutta la stagione da tutto il nord Italia e da tutta l’Europa, orgogliosi di quel vessillo bianco, con una croce rossa e i quattro mori. Quello che avete cucito sul petto per intenderci! Ma ci avete tradito. E la responsabilità è della proprietà, poi venite voi.
“Si su barone non faghet s’obbligassione sua, vassallu, de parte tua a nudda ses obbligadu…”, per capirci non vi dobbiamo niente e non siamo vassalli del Conte, siete voi in debito con noi, “e cominzat sa passienzia in su pobulu a mancare. Mirade ch’est azzendende contra de ois su fogu, Mirade chi non est giogu chi sa cosa andat a veras, mirade chi sas aeras minettana temporale, zente cunsizzada male…” . Vergognatevi e chiedete scusa a chi c’era a Genova e a chi va allo stadio. A Genova, a Milano, a Verona, a Torino e a chi va allo stadio a urlare ‘Forza Cagliari’.
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