“La Grande Camera ha riconosciuto in pieno la fondatezza delle ragioni delle società ricorrenti, ribadendo che la confisca urbanistica è assimilabile ad una vera e propria sanzione penale, che può essere disposta solo nel rispetto di precise garanzie, prime fra tutte la chiarezza dei divieti e la prevedibilità delle conseguenze, e il necessario coinvolgimento processuale del titolare dei beni; per queste ragioni ha ravvisato, nel caso concreto, la violazione dell’art. 7 della Convenzione europea, che sancisce il principio di legalità, ed anche la violazione del diritto di proprietà, a fronte di una evidente sproporzione dei beni confiscati”.

Lo spiega il professor Vittorio Manes, difensore del complesso turistico di Golfo Aranci, una delle società che hanno inoltrato il ricorso alla Corte europea, che ha stabilito che le autorità italiane non avrebbero dovuto procedere con la confisca di numerosi terreni per costruzione abusiva senza una previa condanna dei responsabili. Interpellato per un commento sulla decisione, Manes, ordinario di diritto penale all’università di Bologna, sottolinea come “tra le pieghe di una sentenza indubbiamente complessa, forse non priva di profili contraddittori, c’è un aspetto di particolare interesse anche in merito al valore della presunzione di innocenza”.

E cioè che “pur con riguardo alle specificità del caso concreto, si afferma che una decisione di proscioglimento, anche solo per intervenuta prescrizione, non dovrebbe mai lasciar residuare un’ombra di colpevolezza in capo al soggetto, perché questo violerebbe la presunzione di innocenza: affermazione forte e indubbiamente condivisibile, perché in un sistema basato sulla preminenza del diritto non dovrebbe esserci spazio per assoluzioni ‘a metà’, ne per sentenze di proscioglimento nelle quali, alla fine, la persona sia trattata come se fosse colpevole, perché ciò compromette irrimediabilmente la reputazione dell’interessato e la maniera in cui questi è pubblicamente considerato”.