Sulla questione del crollo del ponte Morandi di Genova ho avuto un istruttivo scambio con il sindaco di Sassari Nicola Sanna (PD) a proposito di un suo post che scaricava la responsabilità sull’opposizione dei 5S ad un’altra opera pubblica che – a quanto si sostiene – avrebbe alleggerito il traffico sul ponte poi crollato. La mia obiezione è banale: come è possibile che un esponente politico formatosi nel PCI e sulla cui bacheca si trovano continui omaggi ad Antonio Gramsci e recentemente anche a Claudio Lolli (con un post che ricorda proprio la sua invettiva contro la “Borghesia”) si lanci in un’acrobatica apologia di rapaci capitalisti come i Benetton?

La sua risposta è da gustare interamente, perciò la riporto perché in essa si trova la cifra della miseria della sinistra italica che ha radici lontanissime come cercherò di spiegare brevemente facendo un piccolo viaggetto narrativo in Patagonia:

«Privatizzazione o Statalizzazione dimostrano che in entrambi i sistemi si annidano e prosperano, profitto corretto o indebito, corruzione, collateralismi. La storia ci ha dimostrato che esistono efficienza, valore sociale, onestà e competenza in tutti e due i sistemi».

La citazione di Sanna è autentica e si trova sulla sua pagina fb.

Ma spostiamoci un attimo dalle polemiche sul ponte Morandi e facciamo un piccolo passo indietro nel tempo e un grande passo di lato nello spazio. Siamo nel 1991, nelle terre della Patagonia argentina che sono abitate da tempo immemorabile dal popolo dei Mapuche. Arriva la famiglia Benetton, come un tempo arrivavano i conquistadores,  compra per 50 milioni di dollari 900.000 ettari di terre dalla compagnia Tierras De Sur Argentino (un vero affare), società che a sua volta si era appropriata di quelle terre dei Mapuche. I Benetton non hanno ripensamenti: sgomberano i Mapuche perché disturbano i progetti della messa a frutto delle nuove proprietà e allevano 260mila capi di bestiame i quali producono circa 1 milione 300mila chili di lana all’anno (per i famosi capi di abbigliamento) e 16mila bovini destinati al macello (la famosa carne argentina).

I Mapuche però non si rassegnano e iniziano una lunga lotta di resistenza e opposizione ai Benetton occupando le terre e mettendo in atto pratiche di disobbedienza civile che però vengono represse dalla polizia argentina  a seguito delle denunce dei bravi capitalisti italiani dal volto umano. Tutto documentato perfino da Amnesty International e tutto ovviamente puntualmente ignorato dalla stampa italiana ed europea.

Perché parlo di questo? Perché è molto utile conoscere questa vicenda per capire la quantità di segatura che riempie le teste pensanti della cosiddetta sinistra italiana che – impegnata nella crociata contro il populismo – si cimenta a fare da avvocato difensore di una multinazionale dello sfruttamento e dell’ingiustizia come la Benetton. Per anni le sue campagna pubblicitarie firmate da Oliviero Toscani hanno nutrito l’immaginario della sinistra radical italiana: antirazzismo, laicismo, antirazzismo, anti omofobia. Tutte cose bellissime e che condivido appieno, ma senza dimenticare che il marketing è marketing e che i luccicanti colori uniti della Benetton non cancellano la verità sostanziale che si cela sotto quelle immagini.

In tutti questi anni solo gli anarchici hanno denunciato la Benetton. Ricordo le vetrine sfondate del loro negozio a Pisa e io stesso subii un processo per danneggiamento durante una manifestazione di un capo di un negozio Benetton a Cagliari.

Una lotta che ovviamente è stata completamente ignorata dalla sinistra italiana la quale anzi ha preso in simpatia le campagne della Benetton a sfondo antirazzista e antisessista facendone una icona fashion-progressista.

Tornando al ponte genovese: come si poteva anche solo pensare che i Benetton, rapaci capitalisti in Patagonia, agissero come colombe in Italia? I capitalisti conoscono una sola legge: quella del profitto. Tutto il resto è propaganda.

L’opinione di Cristiano Sabino