Da docente penso che non esista una ricetta didattica per formare un artista, anzi per essere artista e non formare chi scimiotta parvenze e movenze d’artista, bisognerebbe cercare l’esatto opposto di una ricetta.
Il cuoco perfetto non esiste nei linguaggi dell’arte, se conosci tutti gli ingredienti sei tecnicamente un mestierante, devi fare un passo avanti per cercare qualcosa che abbia un suo gusto, che sappia essere originale e saporito.

Tre ingredienti però penso si possano individuare:

1) PRESTARE ATTENZIONE
Lasciare aperta la porta della comprensione dell’altro, il linguaggio dell’altro è il ricettario degli ingredienti da modificare all’occorrenza.

2) MOSTRARSI CRITICI, CORAGGIOSI E FLESSIBILI
Una capacità dell’artista, dovrebbe essere mettere in discussione tutto ciò che è norma, al punto d’apparire contro tutto e contro tutti.
Non dovrebbe esistere nessun pensiero unico dell’arte, la creatività esige coraggio, senza coraggio come si fanno a sondare altre maniere e modalità?

3) PENSARE, RILASSARSI E PASSEGGIARE
Il linguaggio dell’arte ha una vita autonoma, indipendente da quella dell’artista, scatta e si muove in autonomia proprio quando si abbassa la guardia e viene liberato.
A cosa servirebbero questi tre ingredienti?
A concedersi la libertà di potere essere etichettati come “strani”, uscendo dai meccanismi del pensiero consolidato.
Non ti piace il sistema dell’arte?
Chi ti vieta d’inventarti il tuo?
Le regole di divulgazione del tuo linguaggio artistico le determini tu, non c’è la necessità di delegare gli altri.
Il linguaggio si muove in autonomia quando gli si consente d’essere curioso, la curiosità muove il linguaggio, la curiosità determina l’esperienza estetica, la percezione del bello non è un canone ma una sensazione fluida.
Il linguaggio non è bello, la bellezza è personale, è una propria riflessione, sociale, culturale, intima o politica.
Puoi essere brutto, scioccante o aggressivo nel linguaggio, ma se con il tuo linguaggio sei aperto, se con il tuo linguaggio modifichi e ti modifichi sei sulla strada giusta.
L’esperienza estetica modifica il mondo all’infinito.
Il flusso del linguaggio dell’arte pretende da ciascun cervello una lettura e una interpretazione, alimenta interrogativi e collegamenti, è il pretesto per staccarsi dalla realtà per affrontarla con un altra percezione e punto di vista.
Il flusso del linguaggio dell’arte ci da uno sguardo diverso e un coraggio che è sempre nuovo, le sinapsi si muovono e ci cambiano la modalità operativa.
In “modalità quotidiana” il cervello si occupa delle incombenze e delle problematiche quotidiane, in “modalità artistica” giochiamo con il nostro sistema sensoriale.
A cosa serve la tecnica?
A tutto questo, servono ore e ore, settimane e settimane, mesi e mesi, anni e anni, decenni e decenni di lavoro per smettersi di preoccuparsi del proprio lavoro e di non sentirlo come tale, bensì come istanza naturale.
Se si produce linguaggio, è necessario conoscere la storia dei linguaggi che ci precedono.
Serve l’Accademia per sentirsi artisti liberi di volare.
Il bello ha origine nei sensi, nella memoria, nelle emozioni, capite nel nome di questo quanto siano importanti le arti residenti e gli artisti locali?
Il linguaggio dell’arte anticipa la lingua scritta di 30–40 mila anni, il canto, la pittura, la scultura sono la nostra memoria esterna originaria (altro che personal computer o drive pen), i gesti e i suoni dell’arte coordinano i nostri movimenti e determinano la nostra identità collettiva, quello che a Cagliari non c’è mai stato (se non con lo scudetto del Cagliari di Gigi Riva).

L’opinione di Mimmo Domenico Di Caterino