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Alla fine arriva folgorante quanto inattesa la notizia che tutti i sardi aspettavano: Paolo Maninchedda sarà candidato alle primàrias del Partito dei Sardi.

Il celebre assessore ai lavori pubblici della giunta Pigliaru nonché blogger noto per gli abbaiamenti alla luna contro la peggiore giunta subalterna della storia autonomistica a cui i voti del suo partito hanno permesso – solo per dirne alcune – di ratificare l’occupazione militare e di smantellare la sanità pubblica, scioglie il nodo della suspance e nell’ultimo giorno utile si candida alle primarie del suo partito. Chi l’avrebbe mai detto?

La cosa sarebbe già ridicola così perché le primarie (di per se strumento di americanizzazione della politica in senso presidenziale) non esprimono in questo caso neppure una reale dialettica fra capi politici, ma solo un teatrino basato sul simulacro della democrazia, simile per metodi e sicuramente anche per esiti alla pagliacciata con cui i 5stelle hanno incoronato DiMaio capo politico.

Ma questo è il meno peggio di tutta la vicenda delle primarias. Infatti insieme alla schedina con il nome di Maninchedda corteggiato dagli altri candidati accessori, ce n’è un’altra: quella sul sedicente referendum per l’autodeterminazione.

Così per la prima volta nella storia si affianca ad una pagliacciata virtuale utile alla campagna elettorale di un piccolo partito di notabili la questione più importante e vitale che possa esistere per un popolo, il diritto all’autodeterminazione nazionale.

Non c’è da sorprendersi, Cip e Ciop ci hanno già abituato in passato a buffonate del genere scrivendo solipsistiche costituzioni e autoproclamandosi padri costituenti.

Roba da TSO che – se non ci fosse una stampa asservita e compiacente che ha l’interesse di ridurre a folklore tutto ciò che riguarda la lotta di liberazione nazionale – l’opinione pubblica avrebbe già bollato come espedienti da operetta e confinato nello sgabuzzino delle norizie inutili e non pubblicabili.

L’opinione di Cristiano Sabino