Cosa ho trovato realmente e veramente istituzionale nel messaggio di Mattarella di fine anno?

La presenza di un quadro che gli rubava la scena dinanzi al quale sarebbe potuto stare anche in silenzio, che per linguaggio e scelta cromatica ne attestava l’istituzionalità.

Osservavo il quadro invece di ascoltarlo, un quadro dalle risonanze suprematiste di pura sensibilità della forma che va ben oltre rigidi rituali istituzionali, che pareva essere un Rothko ma con una diversa spiritualità, un Rothko dissonante; un Malevic emotivo e non rigido, un Mondrian che non necessita della rigidità del suo neoplasticismo.

Quel quadro attestava l’avanguardia divenuta nell’arco di un secolo istituzione Accademica, quel quadro è stato linguaggio dell’arte che nel nome della sua ancestralità e umanità schiaccia la rigidezza del media di massa e mostra un Presidente prima di tutto uomo che sente il linguaggio.

Mattarella ieri ha elevato e reso istituzionale l’arte in quanto linguaggio, al punto da omettere il nome dell’autore (Diego Salezze, veronese, classe 1973. Figlio d’arte, sia il nonno che la madre erano pittori) e citando solo il contesto ambientale dove quel lavoro è nato e gli è stato donato il lavoro, il centro regionale per l’autismo che ha sede all’ospedale Borgo Trento di Verona.
Quell’arancio reso plastico da tocchi plastici di giallo, quanta spiritualità, quel gioco di piani con quel grigio in primo piano lacerato, quasi strappato, tremendamente formale e istituzionale che con quello strappo apriva un varco di comunicazione umana con il freddo e distratto spettatore mediatico, quel nero che il grigio sembra comprimere verso il basso nel nome di quello strappo che sembra aprire il varco verso l’arancio.
Questa è la comunicazione istituzionale che ho sempre desiderato, senza parole, dinanzi alla quale la pochezza della propaganda di Di Maio e Di Battista con gli sci che dichiarano di combattere i privilegi, o la volgarità di un Salvini che mangia la nutella scompaiono e si dissolvono, l’istituzione che non sa parlare nobilmente il linguaggio dell’arte nega se stessa.

Il linguaggio dell’arte nobilita le istituzioni e consente loro di sorvolare sui social network, questa è la vera lezione di linguaggio dell’arte di questa fine dell’anno, altro che la volgarità di concertoni e pop star.

Linguaggio dell’arte fuori dal tempo e senza un autore che sia una firma o un investimento di mercato, dinanzi alla forza umana del linguaggio dell’arte, ieri sera non si poteva fare altro che scostarsi e mettersi da parte.

L’opinione di Mimmo Domenico Di Caterino