“L’Agnello”, pellicola che racconta di un dramma, ambientato nella Sardegna rurale, visto attraverso gli occhi di un’adolescente, è uscito in anteprima nelle sale sarde mercoledì 5 marzo e rimarrà in programmazione tre settimane.

Il film segna l’esordio sul grande schermo di Mario Piredda è stato proiettato seguendo le norme di contrasto al coronavirus con gli spettatori a un metro di distanza tra loro. Il sassarese vinse il David di Donatello nel 2017 con il corto “A Casa mia”.

“Avremmo voluto che debuttasse in un momento più disteso – commentano i produttori Chiara Galloni e Ivan Olgiati – Ma proprio la protagonista ci insegna che bisogna affrontare le circostanze della vita, anche quando sono avverse. Per questo abbiamo deciso, insieme agli esercenti sardi, di confermare l’uscita nelle sale e con la stessa ostinazione lavoreremo in tutta Italia: se ci impegniamo tutti a rispettare le norme indicate possiamo continuare a vivere le nostre vite senza timori immotivati. È importante per il cinema e per il settore culturale, che sta subendo terribilmente le conseguenze di questa situazione”.

Prodotto da Articolture, Mat Productions con Rai Cinema arriverà presto anche nelle sale italiane. A far da sfondo alla vicenda i contrasti di un’Isola con i suoi paesaggi colorati e profumati dalla macchia mediterranea, il Supramonte, gli scenari marini, ma anche reticolati, muri, caserme, poligoni di tiro e inquinamento. Una terra che diventa scenario in cui si sviluppano le piccole battaglie contro le avversità della vita dei protagonisti. Un buon cast tutto sardo: Nora Stassi, al suo debutto nel cinema, Michele “Dr. Drer” Atzori, anche lui esordiente, gli attori professionisti Luciano Curreli e Piero Marcialis. Ben calata ed efficace nel ruolo di Anita, Nora Stassi, vera scoperta del regista, interpreta una diciassettenne coraggiosa e “in piena ribellione da una condizione sociale e culturale che a stento riesce a comprendere”, racconta Piredda.

Quasi in un processo di maturazione accelerato dalla malattia del padre, affetto da una leucemia invalidante, e dalla perdita della madre quando era adolescente, la protagonista riesce a scardinare posizioni fossilizzate del mondo degli adulti in cui è immersa e a ricucire rapporti interrotti da anni. Il regista affida alla fresca energia di una ragazza già donna, pur segnata dalla sofferenza, il compito di rompere quella normalità malata fatta di relazioni tossiche. Anita, più che agnello sacrificale o vittima remissiva, gioca ad armi quasi pari con quel mondo adulto maschile e fa emergere una dimensione positiva di umanità.