L’economia Italia nell’immediato secondo dopoguerra fece i conti con un pesante fenomeno inflattivo che il governo in carica di allora pensò di bloccare con una “violenta manovra economica”.
L’economista Augusto Graziani, padre della scuola economica del circuitismo nel suo saggio “Lo sviluppo dell’economia italiana” (edizioni Bollati Boringhieri 1998), sottolineò come quegli stessi economisti liberisti, come Luigi Einaudi, che individuavano nella spesa pubblica le cause dell’inflazione, lasciarono il sistema bancario libero di espandere il credito al settore privato, ma si smentirono clamorosamente nel momento in cui per arrestare l’inflazione decisero un intervento sul sistema bancario con una severissima stretta creditizia.
Ma, come sottolinea il prof. Graziani, l’incongruenza tecnica aveva nei fatti una sua precisa giustificazione politica.
“L’ondata inflattiva sarebbe stata lasciata libera di gonfiarsi in modo tale che la brusca deflazione con la depressione che ne seguì avrebbe avuto la funzione di stroncare l’azione sindacale, consentire un’ondata di licenziamenti, favorire l’opera di ristrutturazione cui la grande industria si accingeva ed avviare la ripresa all’insegna della pace sociale e della moderazione salariale.”
Oggi dovremmo solo aggiornare i nomi dei politici, diversi da quelli di allora, per comprendere le finalità di questa politica economica deflattiva che genera austerità. Come successe nell’immediato dopoguerra, anche oggi si decide di utilizzare una crisi economica, voluta politicamente, per smantellare un solidissimo stato sociale e riformare l’economia italiana in senso liberista e mercantilista. Viene imposta la scarsità di lavoro per comprime i salari e costringere le persone a rinunciare, senza lottare, alle conquiste sociali pur di sopravvivere.
Nessuno sarà sorpreso se i testi di macroeconomia di Augusto Graziani siano quasi del tutto spariti dalle università lasciando il posto ad altri economisti stipendiati dall’èlite economica dominante chiamati a popolare l’economia di false divinità come il debito pubblico, e di inesistenti paure come il deficit e l’inflazione. L’obiettivo, oggi come allora, è immolare lavoratori e democrazie all’altare di queste false divinità.







