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L'ingresso in carcere costituisce un momento traumatico per tutti i detenuti. Per molti di loro, in particolare per quelli stranieri, anche la scarcerazione è in tanti casi un ulteriore momento difficile e di sbandamento.
Parte anche da questo dato di fatto l'inchiesta sulla popolazione straniera detenuta negli istituti di pena sardi presentata questa mattina a Oristano dalla Delegazione regionale delle Caritas della Sardegna, nell'ambito di un convegno organizzato in collaborazione con la Conferenza regionale Volontariato Giustizia.
L'obiettivo di questa indagine, come ha spiegato la referente del Gruppo regionale Promozione Umana-Settore Carcere, Giovanna Lai, è duplice: da una parte capire quali sono i problemi e le difficoltà di questi detenuti, dall'altra individuare percorsi e interventi di "accompagnamento sociale" finalizzati a una effettiva integrazione. "A fine pena, oltre alle porte del carcere per queste persone si devono aprire anche le porte delle città", ha detto ancora Giovanna Lai.
L'inchiesta è stata condotta negli istituti di pena di Cagliari, Iglesias, Isili, Massama, Nuoro, Onanì e Tempio Pausania coinvolgendo più di 300 detenuti (tra i quali però solo sei donne), provenienti per la maggior parte dal continente africano e arrivati in Sardegna dopo periodi di detenzione cominciati fuori dall'isola. Il 60 per cento per reati legati al traffico e allo spaccio di stupefacenti, un altro 20 per cento per reati contro il patrimonio. I problemi più grossi sono le difficoltà di relazione non solo con gli altri detenuti ma anche con il personale penitenziario, le difficoltà economiche legate alla mancanza di una rete familiare di sostegno, e la quasi impossibilità per molti di accedere a misure alternative e benefici di legge.
L'indagine è andata oltre gli aridi numeri delle statistiche con 16 storie di vita raccontate da altrettanti detenuti e raccolte nel volume "Caritas: dentro e fuori dal carcere".