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"Siamo arrivati al 25/o anniversario della strage del Moby Prince e ancora non esiste una verità, se non quella ufficiale della Procura di Livorno".
Lo afferma Luchino Chessa, medico cagliaritano figlio del comandante della nave Ugo Chessa, ricordando che l'Associazione 10 Aprile-Familiari Vittime Moby Prince ha organizzato per domani a Cagliari una giornata per non dimenticare e per testimoniare #iosono141, "Moby Prince 25 anni senza verità e giustizia".
"La notte del 10 aprile del 1991 – ricorda Luchino Chessa – il traghetto Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo entrano in collisione e scaturisce un incendio che interessa le due navi.
Ma mentre i soccorsi si dirigono verso la petroliera e tutti i membri dell'equipaggio vengono salvati, nessuno pensa al Moby Prince, e anche quando viene rintracciato oltre un'ora dalla collisione, nessuno cerca di soccorrere i possibili superstiti.
Così 140 persone muoiono dopo ore di agonia. Tutto è stato ed è tuttora banalizzato come un semplice incidente, a causa della nebbia, della velocità sostenuta del Moby Prince, della distrazione e superficialità del Comandante del traghetto, Ugo Chessa. Ma noi familiari delle vittime non ci stiamo a questa versione della verità di comodo. Il dolore che ci ha colpito si è trasformato in rabbia, la disperazione in determinazione nella ricerca della verità, per dare giustizia ai nostri cari.
Sicuramente quella notte non c'era la nebbia – prosegue Chessa – sicuramente il Comandante era in plancia di comando e non era distratto. Cosa è successo non lo sappiamo, ma di certo ci chiediamo: perché sul Moby Prince sono avvenute numerose manomissioni? Perché non esistono tracciati radar e immagini satellitari? Per quale ragioni i soccorsi si sono dimenticati del Moby Prince? Che ruolo hanno avuto le numerosi navi militari e militarizzate presenti quella notte nel porto di Livorno. Cosa si doveva e cosa di deve nascondere? La commissione parlamentare d'inchiesta, di recente istituzione, rimane per noi l'ultima speranza ma sia chiaro, in ogni caso non ci fermeremo mai, perché capire cosa è successo quella notte è diventato un atto di democrazia".