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La cessione di Versalis si avvicina ma l'Eni non scappa dall'Italia, dove invece investirà 8,4 miliardi di euro da qui al 2019, puntando anche sulla nuova frontiera delle rinnovabili. Il profilo futuro del colosso, quindi un po' meno petrolifero, emerge dall'assemblea dei soci, occasione anche per fare il punto sull'inchiesta in Val d'Agri, in merito alla quale l'Eni ribadisce "correttezza" e "serenità".
In una riunione priva degli accenti polemici visti in passato (basti pensare all'assemblea dello scorso anno, quando intervenne il ciclone Beppe Grillo, mentre quest'anno il Movimento 5 Stelle era rappresentato dal deputato Davide Crippa), il management ha toccato alcuni dei punti principali che stanno impegnando l'azienda, alle prese con un prezzo del petrolio che viaggia sotto i 50 dollari al barile e che spinge quindi a cercare anche altre soluzioni di business.
Il tema più 'caldo', visto anche il nuovo sciopero proclamato per domani dai sindacati, è la cessione di una quota di Versalis al fondo Sk Capital. L'ad Claudio Descalzi, che ha confermato le indiscrezioni secondo cui l'Eni intende mantenere il 30% della società anche "per avere una governance per cui possiamo dire no", ha annunciato che si è "vicini a una soluzione", ribadendo però che "prima di finalizzare" è necessario assicurarsi "che ci siano tutte le garanzie sugli investimenti e sul ciclo operativo". L'Eni, del resto, non ha alcuna intenzione di disimpegnarsi dall'Italia, da nessun punto di vista. Basti pensare a quello che sta accadendo in Val D'Agri, dove il gruppo è indagato per reati ambientali: la presidente Emma Marcegaglia ha ribadito che la vicenda viene affrontata "con serenità", nella convinzione di aver agito correttamente. Certo, ha proseguito, il blocco dell'estrazione ha "riflessi non indifferenti", con un'incidenza di 50mila barili in media annua in meno: ma nonostante questo la raffineria di Taranto, che dipende direttamente dall'impianto lucano per la fornitura della materia prima e che quindi rischia di perdere 20-30 milioni, non chiuderà "per senso di responsabilità" e per non creare "un disagio profondo".
La società resta dunque ancorata alla sua storia, ma imbocca anche con convinzione una strada in parte nuova, quella delle rinnovabili. L'Eni è presente nel settore dal 1980, ma di oggi è l'annuncio di un programma specifico con nuovi progetti che saranno sviluppati in Italia, Pakistan ed Egitto. Gli investimenti, tra attività e ricerca, raggiungeranno "quasi un miliardo" nei prossimi tre anni. Nel progetto Italia, in particolare, l'Eni ha individuato oltre 400 ettari di terreni propri, bonificati dalla Syndial ma non utilizzabili o di scarso interesse economico, in sei regioni (Liguria, Sardegna, Sicilia, Calabria, Puglia e Basilicata) dove installerà impianti per lo più fotovoltaici in due fasi: la prima è relativa allo sviluppo di cinque progetti, situati rispettivamente ad Assemini, Porto Torres, Manfredonia, Priolo e Augusta, per una potenza complessiva installata di circa 70 megawatt; la seconda fase è basata sullo sviluppo di altri progetti per un'ulteriore potenza installata di circa 150 megawatt. Una sfida diretta all'Enel? Sembrerebbe di no perché, ha puntualizzato Descalzi, "non ci sono sovrapposizioni", visto che il modello seguito dalla società elettrica "è completamente diverso".