racket-pompe-funebri-indagati-and-ldquo-erano-regali-non-mazzette-and-rdquo

Non mazzette pretese in cambio di funerali procacciati, ma strenne di poco valore, al massimo 10-20 euro, ricevute da persone con cui, nel tempo, si era creato un rapporto di conoscenza e in qualche caso di amicizia.
E' quanto emerso dalle risposte e dalle dichiarazioni spontanee rilasciate dai pochi necrofori indagati che hanno deciso di parlare davanti al Gip del Tribunale di Cagliari, Giampaolo Casula, nell'ambito dell'inchiesta sul racket delle pompe funebri che ha portato complessivamente all'iscrizione nel registro degli indagati di 168 persone.
Oggi seconda giornata di interrogatori, solo due dei 20 dipendenti di cinque ospedali cagliaritani finiti ai domiciliari, hanno deciso di rispondere alle domande del giudice, mentre un terzo ha rilasciato dichiarazioni spontanee.
Con i sette di questa mattina, sono saliti a 14 gli indagati finiti ai domiciliari nell'operazione "Caronte" che hanno scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere, tre hanno rilasciato dichiarazioni e altrettanti hanno risposto alle domande sia del Gip, che ha firmato la misura cautelare, che del sostituto procuratore Giangiacomo Pilia, che sta coordinando l'indagine avviata dai carabinieri.
Nel frattempo, già questa mattina, i primi avvocati degli impresari funebri indagati si sono presentati in Procura per la costituzione e la presa di visione degli atti allegati alla misura cautelare. Sono accusati, assieme ai venti necrofori – a cui la procura, a vario titolo, imputa anche il peculato, la truffa aggravata e il falso in atto pubblico – di "indebita induzione continuata in concorso", ovvero di aver pagato mazzette ai dipendenti degli ospedali Brotzu, Santissima Trinità, San Giovanni di Dio, Marino e Businco per accaparrarsi i funerali delle persone morte nei vari reparti.