Nel caso della morte del Caporal maggiore Salvatore Vacca "sono state considerazioni di carattere prudenziale a condurre l'Avvocatura dello Stato a suggerire di proporre ricorso per cassazione, tenuto conto delle dimensioni che il contenzioso ha raggiunto e potrà assume in futuro".
Lo ha riferito alla Commissione d'inchiesta uranio impoverito l'avvocato generale dello Stato, Massimo Massella Ducci Teri, chiamato a inquadrale le ragioni che hanno indotto l'Avvocatura, per conto della Difesa, a impugnare la sentenza della Corte d'appello per alcuni profili. "Nessun ristoro pecuniario potrà mai compensare l'incommensurabile dolore di chi perde una persona cara", ha sottolineato Ducci Teri, chiarendo che l'azione è stata decisa "in un prospettiva esclusivamente tecnico-giuridica". A fine maggio era stata Roberta Pinotti, ministro della Difesa, a dichiarare dopo la sentenza d'appello che a suo giudizio la vicenda processuale di Vacca non andava "ulteriormente prolungata", specificando però che "la Difesa può esprimere un parere: la decisione è nelle mani dell'Avvocatura". Oggi in audizione l'Avvocatura ha spiegato tale decisione e ripercorso la vicenda.
Vacca prestò servizio in una missione di peace keeping dal novembre 1998 all'aprile 1999 in Bosnia Erzegovina e morì per una grave leucemia il 9 settembre 1999. "In conseguenza di quell'evento e indipendentemente dall'accertamento di eventuali responsabilità delle autorità militari o di altri – ha riepilogato Ducci Teri – ai genitori sono stati riconosciuti benefici per complessivi 235mila euro, che salgono a 960mila con la rivalutazione e capitalizzazione dei due assegni mensili concessi a ciascuno dei genitori".
"Nel marzo 2008 i familiari di Vacca hanno avviato un giudizio di fronte al tribunale di Roma contro lo Stato chiedendo un risarcimento danni fino a 5 milioni di euro" e "di accertare il nesso causale" tra la morte e l'esposizione all'uranio impoverito. Istanza che il Tribunale e poi la Corte d'appello hanno accolto, riconoscendo 644mila euro ai familiari. Al di là dei dubbi dell'Avvocatura sul nesso causale, i motivi dell'appello in Cassazione superano il caso singolo e riguardano le eventuali conseguenze per lo Stato dell'intero contenzioso. E non solo quello derivante dall'esposizione di militari all'uranio impoverito o altri agenti patogeni, ma anche "contenziosi analoghi massivi, come quello, di ingentissimo impatto sulle finanze pubbliche, in materia di emotrasfusioni" perché anche qui "viene costantemente invocato e applicato il principio del defalco degli indennizzi a vario titolo riconosciuto ai danneggiati, in sede amministrativa e giurisdizionale, dalle somme riconosciute a titolo risarcitorio". Proprio questo è lo snodo, cioè la distinzione tra indennizzo e risarcimento danni.
Perché, sostiene l'Avvocatura, "ammettere il cumulo integrale e generalizzato tra i benefici economici a titolo indennitario e i risarcimenti eventualmente accordati dai giudici a titolo di responsabilità civile, condurrebbe a una parziale duplicazione di attribuzioni patrimoniali", con "inevitabili ricadute sulla finanza pubblica".