In Italia i medici obiettori di coscienza "sono in continua crescita, arrivando a sfiorare il 70%, una delle percentuali più alte in Europa, a fronte del 6% in Norvegia e Germania, del 10% in Francia ed Inghilterra". Un fenomeno che ha punte massime in alcune regioni italiane, soprattutto del Sud, a partire dal Molise (sono obiettori il 93,3% dei ginecologi) e dalla Basilicata (90,2%). Nel complesso su 94 ospedali con un reparto di ostetricia e ginecologia, solo 62 effettuano interruzioni volontarie di gravidanza. Cioè solo il 65,5% del totale. Così nel 2012, 21.000 donne su 100.000 si sono rivolte a strutture di altre province e il 40% di loro è stata costretta a cambiare addirittura regione. A richiamare l'attenzione su questi dati è Magistratura democratica, che in una nota diffusa in occasione della giornata della donna parla perciò dell'aborto come "diritto negato" e difende quei bandi,come quello della Regione Lazio, per l'assunzione di personale medico non obiettore. La legge ha "affermato un diritto, che per essere tale deve essere garantito nella sua attuazione effettiva e concreta: la donna deve poter abortire nella propria città e in tempi rapidi, in modo da evitare il più possibile i rischi per la propria salute", osserva Md, ricordando che l'Italia è già stata condannata dal Consiglio d'Europa per le difficoltà che continuano a incontrare le donne nell'accesso ai servizi di aborto.
"Di fronte all'aumento dei medici obiettori, lo Stato non può semplicemente prendere atto della legittima scelta e rinunciare di fatto ad assicurare il diritto di aborto" afferma ancora la corrente di sinistra della magistratura, che ritiene in linea con la ratio della legge 194 i bandi di assunzione per medici non obiettori. "La previsione è infatti rivolta alla tutela di un diritto, legislativamente riconosciuto; chi ritiene legittimamente di obiettare non presenterà la propria candidatura. E poiché nel caso specifico del bando adottato recentemente dalla Regione Lazio l'Interruzione Volontaria della Gravidanza è indicata come l'essenza della prestazione del ginecologo, è legittimo ritenere che la mancata resa della prestazione costituisca giusta causa di risoluzione del contratto.Ignorare questi dati normativi e di fatto – conclude Md – significa chiudere gli occhi di fronte alla realtà di un diritto negato".







