Facciamo di tutto per i nostri figli, affinché raggiungano un livello soddisfacente di autonomie che gli permettano di vivere la loro vita nel miglior modo possibile.
Lavoriamo sul linguaggio, per cercare di arricchire il loro dizionario mentale, utile all’evoluzione e allo sviluppo di quelle relazioni *normali* che nel dialogo trovano compimento.
Lavoriamo sulla socializzazione, per cercare di stimolare in loro ciò che in noi è naturale, l’approccio e la conoscenza di e con altre persone nasce e si sviluppa – in senso positivo e negativo – in funzione della capacità e, predisposizione, all’apertura, al dialogo.
Questo lavorio avviene quotidianamente, coinvolgendo, oltre la famiglia, tante altre figure : il/la logopedista; il/la neuropsicomotricista; il/ la neuropsichiatra; il/la assistente.
Il tutto segue i canoni e la cadenza di una catena di montaggio, piena di passaggi e di ingranaggi che, più o meno scorrevoli – spesso ci sono attriti – conduce – dipende da caso a caso – a dei risultati positivi.
L’evoluzione di questi percorsi, porta dei sicuri benefici ai nostri figli autistici, questa è una certezza, che tuttavia rimane confinata all’interno di quella maledetta catena di montaggio, la quale cessata l’attività, ri-catapulta Noi e i nostri figli nel mondo reale, nella quotidianità, nel confronto con il mondo esterno.
È lì che la bestialità dell’autismo si manifesta : nel vedere tuo figlio tra tanti, ma solo ; nel percepire e nel vivere sulla tua pelle le sue difficoltà; negli sguardi della gente; nel ghigno di schermo degli altri; nel mondo che è violento e intollerante; nel mondo che non sa, che ignora.
Quanto è preparato il mondo esterno, esterno all’autismo intendo; esterno alla catena di montaggio intendo, ad accettare che nella Nostra società esistono, vivono, e hanno gran bisogno di aiuto e comprensione i nostri figli?
Ecco, quando parlo di cultura sull’autismo mi riferisco a questo, niente di più.
Antonello Spiga