Alberto Angela racconterà un tempo dove l’isola è stata fertile d’arte, creatività e cultura residente.

Racconterà di un ‘isola al centro di rotte commerciali marittime tra Oriente e Occidente; racconterà di un’isola che sapeva nutrirsi dei prodotti artistici e culturali dell’altro, di linguaggi dell’arte si nutrivano di proficua e profonda reciprocità.

Racconterà di un’isola al centro della globalizzazione preistorica dei linguaggi dell’arte, del suo benessere economico che attirava contaminazione culturale.
Ricorderà come allora i linguaggi dell’arte circolavano privi d’intermediazioni, con paesi vicini e lontani, si accumulavano ricchezze e costruivano monumenti, fortificazioni, abitazioni, attrezzi da lavoro, utensili, armi, bronzetti e tombe funerarie.
Evidenzierà come gli isolani partecipavano direttamente ai loro scambi, come le navicelle in bronzo lo raccontino, si esportavano e importavano conoscenze, esperienze e competenze.

L’isola era la sua espressione artistica residente, con le sue opere imponenti e monumentali, altrimenti come spiegare gli oltre settemila nuraghe noti?
Come spiegare gli oltre 350 bronzetti nuragici che raccontano di una economia, di lavori, di dire, di organizzazione sociale, gerarchia militare e spiritualità, di come si amava e del culto dei morti?

C’è stato un momento in cui quella isolana era una delle civiltà più avanzate.
130 bronzetti rappresentano navicelle, perché non si era solo agricoltori, cacciatori, artigiani, costruttori, guerrieri, sacerdoti, musici e cantori, si era navigatori.
Non ometterà come le maestranze erano altissime, si era carpentieri nel lavorare il legno, scultori nel lavorare la pietra per le ancore.

Quell’isola non era serva artisticamente e culturalmente, i suoi prodotti lavorati o semilavorati finivano a compratori esteri, era una civiltà con i suoi linguaggi e la sua ricerca artistica, naturalmente in espansione, economicamente e culturalmente indipendente senza essere chiusa nel suo recinto.

Quegli artisti, uomini, artigiani isolani, realizzarono opere che sopravvivendo fossero una matrice di connessione e identificazione artistica e culturale, quella è la specificità culturale e artistica isolana, a partire da quello si costruisce e determina il futuro.
Focalizzerà come il canone non sia quello classico ellenico della bellezza, dell’armonia e dell’equilibrio, non noterà decorazioni e ornamenti spocchiosi e raffinati, foglie, capitelli, cupole e volte; tutto quello che racconterà sarà potenza creativa simbolica della mente umana che risiedeva nell’isola, non imitazione ideale della natura, ma mimesi, viversi come natura.

L’Arte e l’architettura isolana che ci mostrerà è essenziale, sobria, diretta e semplice, frugale, genuina e senza ombra di dubbio autentica; all’artista isolano non piaceva (e non piace) perdere tempo, il tempo dei nuragici era eterno; un’Accademia a Cagliari vorrebbe dire tenere in vita linguaggio e memoria come origine di questa specifica identità, questo presumo Alberto Angela non lo racconterà in Rai.

L’Accademia di Belle Arti a Cagliari dovrebbe esserci per diritto naturale, per garantire agli artisti residenti in formazione di raccogliere i frutti del proprio linguaggio e della propria memoria, di fare circolare il proprio linguaggio oggi come allora per accumulare capitale che diffonda benessere artistico e culturale.

Alberto Angela non rifletterà sull’estensione della rete nuragica in tutta l’isola accostandola all’Alta Formazione Artistica ferma a Sassari, non racconterà i limiti di formazione artistica e culturale dell’isola contemporanea, in questa maniera quale identità e sistema culturale e artistico isolano si pensa di costruire e preservare nel tempo affidandosi alla sua narrazione?

L’opinione di Mimmo Domenico di Caterino