Non sono revocabili le querele per stalking quando gli atti persecutori si manifestano con fatti gravi, ad esempio minacce per l’incolumità fisica della vittima, e i magistrati davanti a fatti di particolare allarme non devono archiviare il procedimento anche nel caso in cui la parte offesa decida di fare marcia indietro e ritirare le denunce.

Lo sottolinea la Cassazione che esorta i giudici di merito a non interpretare alla lettera il codice penale in ordine alle circostanze aggravanti. Ad esempio – afferma il verdetto 15794 – una minaccia per essere considerata grave, e non essere archiviata in seguito a remissione di querela, non deve essere necessariamente provenire da un gruppo di almeno cinque persone, una delle quali armata, come stabilisce il codice penale nell’art.339. Per gli ‘ermellini’, basta che a dirla sia anche uno soltanto, in base alle valutazioni sulla pericolosità del soggetto che minaccia fatte dai giudici di merito. Per questo, i supremi giudici hanno accolto il ricorso del Procuratore generale della Corte di Appello di Cagliari contro la decisione del Tribunale del capoluogo sardo che nel giudizio direttissimo nei confronti di un uomo – R.S. – imputato di stalking e lesioni personali lievi nei confronti della ex compagna, L.C., aveva dichiarato estinto il procedimento “per remissione di querela e contestuale accettazione”.

Contro il colpo di spugna, il Pg ha protestato in Cassazione facendo presente che “in ipotesi di atti persecutori, la querela è irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate e gravi: carattere che senza dubbio presentavano le espressioni di intimidazione ‘ti ammazzo’, ‘quando esco ti spacco la faccia’, proferite dall’imputato nei confronti della parte offesa”.

La Suprema Corte gli ha dato ragione e ha ordinato al Tribunale di riaprire il processo per l’imputato nonostante la revoca della querela e la dichiarazione di non luogo a procedere che aveva ritenuto non grave le minacce rivolte da R.S. alla sua ex perchè non rispondenti ai ‘canoni’ fissati nell’art. 339 cp.